Intervista a Benedetto Casillo

Intervista a Benedetto Casillo

Oggi abbiamo l’onore e il piacere di intervistare Benedetto Casillo, uno degli artisti napoletani più amati non solo in Italia ma anche all’estero.

Ci troviamo al Gran Caffè Gambrinus, davanti ad una tazzina di caffè.

Vorrei iniziare chiedendoti di parlarci dei tuoi esordi nel mondo dello spettacolo. Si da bambino hai voluto fare l’attore?

In realtà io non volevo fare l’attore ma il calciatore. Per l’esattezza volevo diventare un grande terzino proprio come il mio idolo, il calciatore dell’Inter Tarcisio Burgnich. Io però a differenza di Burgnich ero proprio scarso. Però piuttosto di fare la panchina decisi di provare altre strade anche spinto da quella sorta di sano esibizionismo giovanile.

Iniziai a fare teatro nella chiesa dei Cappuccini, vicino casa mia. Ricordo che un giorno mi trovavo per caso con una compagnia teatrale. Dopo lo spettacolo rimasi da solo e indossai una parrucca e pensai tra me e me che non volevo fare l’attore. D’altronde in famiglia nessuno era artista e giurai a me stesso che non lo avrei mai più fatto. Ma…sono 54 anni che faccio questa attività.

Fu così che ebbi un nuovo idolo: Johnny Dorelli. Tanto è vero che mi chiamavano Dorellik! Nel corso degli anni ho collaborato anche con Marisa Laurito, fatto parte dei “Cabarattoli” e poi del gruppo dei “Sadici piangenti” con Renato Rutigliano. Dopo tanti anni ancora sono ancora “sul palco” e oggi lavoro con Enzo Moscato.

Che valori avevano gli artisti della tua generazione?

Io sono cresciuto negli anni del dopoguerra. Ricordo i palazzi ancora danneggiati dai bombardamenti. Dalla distruzione si è passati alla ricostruzione. C’è stato un momento di grande solidarietà. La maggioranza degli artisti di quella generazione non cercava la notorietà o il successo a tutti i costi. C’era la passione, la voglia di stare insieme e condividere l’amore per l’arte. L’arte, infondo, è il gusto per il bello e la ricerca della spiritualità. Credo che un l’artista abbia la capacità di uscire dal conformismo e dalla globalizzazione e vivere la sua libertà.

Il successo lo hai avuto con il cinema.  Questa è stata la tua esperienza più importante?

In realtà il successo lo abbiamo avuto negli anni ’70 con le “scenette comiche” (presentate dal conduttore e imitatore Gigi Sabani) poi messe in musicassetta. Vendemmo centinaia di migliaia di copie non solo in Italia ma anche all’estero agli emigrati italiani.

Per quanto riguarda l’esperienza più importante credo che di tutte tre le mie attività, ognuna a modo suo, ha la sua importanza. Il teatro ti dà il valore più esaltante perché ti fa esprimere al massimo. La televisione ti dà il massimo della visibilità mentre il cinema ti consacra e le persone si ricordano di te.

Ci racconti il tuo rapporto con Luciano De Crescenzo?

Ci siamo conosciuti negli anni ’70 in un locale storico a Mergellina “Vini e Cucina”, la mattina frequentato da operai mentre la sera diventava un locale di riunione per calciatori, giornalisti e artisti. Io facevo la posteggia decantando poesie e recitando in prosa. Negli anni ‘80 Luciano mi volle nella sua “trilogia”.

Forse però oggi gli argomenti dei film di De Crescenzo sono un po’ superati…

No anzi al contrario. Sono attualissimi. Basti pensare che in una scena con Sergio Solli noi parlavamo dei bunker antiatomici e della guerra contro la Russia. Inoltre l’argomento più importante era l’amore. Sembra strano ma oggi le persone hanno quasi vergogna di mostrare i loro sentimenti verso il prossimo.

Cosa è per te il caffè?

Il caffè della mattina è un risveglio. Il caffè dà il senso alla tua giornata. Sentire l’aroma ha un effetto straordinario. Per questo motivo lo preparo proprio io al mattino. Poi alle cinque del pomeriggio appuntamento fisso con il caffè per rimettermi in sesto dopo un pisolino. Mi piace aggiungerci una punta d’anice. Il caffè per me è un “aerosol” di vitalità, mi si aprono i polmoni.

Michele Sergio

Articolo pubblicato su L’Espresso napoletano nel mese di maggio 2022