Intervista a Massimiliano Gallo

Intervista a Massimiliano Gallo
Oggi incontriamo Massimiliano Gallo, classe 1968, attore napoletano di meritata fama e grande successo.
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D) Buongiorno Massimiliano grazie per l’opportunità dataci con questa intervista. La nostra prima domanda è sulla tua vita e sul tuo lavoro.
- R) La mia vita è sempre stata legata, sin da ragazzo alla mia professione di attore. Mi ritengo una persona fortunata perché sono riuscito a fare della mia passione il mio lavoro anche grazie all’educazione ricevuta dalla mia famiglia che mi insegnato la disciplina e la serietà nel lavoro. Questo è un aspetto da non sottovalutare perché molte persone considerano il lavoro dell’attore come “un non lavoro”, come qualcosa di effimero. Essere attore è, invece, un lavoro che richiede grande applicazione e preparazione. Come recita Eduardo “gli esami non finiscono mai” e l’attore deve mettersi continuamente in gioco. La sua carriera va valutata sulla lunga durata e cammina in linea parallela con la sua vita; la sua arte deve sempre più affinarsi con gli anni. Chi visita un set o partecipa, anche come sola comparsa, alla preparazione di un film può capire le difficoltà di questo mestiere.
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D) Come figlio d’arte hai avuto più vantaggi o svantaggi?
- R) Entrambi! Io ho, per esempio, avuto difficoltà a relazionarmi con alcune persone perché mio padre ci aveva litigato. Tutto sommato credo che questo fatto sia, comunque, una sorta di “jolly”, una specie di credito a condizione, però, che se ne faccia buon uso: è facile sprecarlo e bruciarsi rapidamente.

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D) Qual è il tuo lavoro che apprezzi maggiormente?
- R) Credo sia il mio primo film, Fortapàsc con ruolo da protagonista. Questa pellicola mi ha dato molta visibilità e successo e ciò non solo mi ha permesso di lavorare “a catena” ma ho avuto anche l’apprezzamento di grandi registi come Ozpetec che hanno voluto credere in me. Dal 2008 ad oggi (13 anni di carriera) ho fatto oltre 35 film.
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D) Hai mai avuto qualche timore nel tuo lavoro? Lo trovi difficile?
- R) In verità no. Non ho mai avuto timori neanche quando mi trovavo agli inizi di carriera e facevo teatro. Non lo trovo nemmeno difficile. Secondo me la vera difficoltà non risiede tanto nel memorizzare le battute (perché poi diventa una abitudine ed un allenamento mentale) ma, piuttosto, riuscire ad interpretare il linguaggio cinematografico e televisivo.

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D) Che rapporto hai con tuo fratello, attore come te?
- R) Mio fratello Gianfranco è uno scrittore, cantante e artista. Un rapporto purtroppo interrotto perché abbiamo preso due strade differenti. Siamo partiti insieme lavorando al teatro. È stato molto bello.
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D) Cosa è il caffè per te?
- R) Il caffè a Napoli ha un valore importante di socialità (a Napoli infatti si dice beviamoci il caffè ma “pigliammec ‘o cafè”) e se ne bevono tranquillamente anche 6 o 7 al giorno. È un momento di condivisione e di disponibilità anche con persone che non conosci. Per questo è nato il caffè sospeso, perché noi napoletani abbiamo voglia di condividere. Per via del mio lavoro ho bevuto caffè dappertutto in Italia purtroppo molte volte di pessima qualità o come diceva Totò una vera “ciofeca”. Penso che la poca bontà sia legata ad un problema di tostatura e di miscela.
- Un ricordo su tutti: una volta rimanemmo malissimo quando un nostro amico brasiliano ci portò un caffè dal Sud America per farcelo assaggiare. Avevamo grandi aspettative. Invece non fu di nostro gradimento. Per questi motivi credo che a Napoli ci sia una particolare arte proprio sulla tostatura e sulle miscele. In fondo l’Italia è il posto più particolare completo in materia culinaria. Siamo capaci di migliorare le cose anche se non sono originarie del nostro paese.
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D) Come preferisci bere il caffè?
- R) Lo preferisco in vetro perché non gradisco la tazza calda e lo bevo amaro (come gli intenditori!).
Michele Sergio
Articolo pubblicato su L’Espresso napoletano nel mese di febbraio 2021