Il caffè napoletano ed il cinema: “La banda degli onesti”
Articolo scritto da Michele Sergio e pubblicato su Il Roma
Nel 1956 Camillo Mastrocinque firma la regia di uno dei più esilaranti film con Totò e Peppino protagonisti, coadiuvati da un grande Giacomo Furia.
E’ intorno al caffè che i tre improvvisati falsari ragionano, confrontano le loro problematiche (soprattutto economiche), parlano delle loro insoddisfazioni e frustrazioni, mettono a punto il loro disegno criminoso ed infine decidono di affrontare le conseguenze del loro crimine (in realtà mai definitivamente perpetrato). E’ in un bar di una Roma popolare che Antonio Bonocore (Totò) portiere di un affollato stabile, tiene al condomino e tipografo Giuseppe Lo Turco (Peppino) una vera e propria lezione sul funzionamento della società italiana del dopoguerra e lo fa utilizzando un originale supporto didattico: una tazza di caffè!
La tazzina di caffè di Lo Turco rappresenta il cittadino umile, ma onesto, mentre quella che Bonocore ha innanzi a sé rappresenta il capitalista avido e senza scrupoli. Bonocore spiega che le due tazzine sono in principio entrambe senza zucchero (che rappresenta il capitale); ma col passare del tempo solo quella del capitalista si riempirà di zucchero fino all’orlo, perché il capitalista (identificato con il senza scrupoli amministratore ragionier Casoria), avido, senza cura o pena per il povero onesto, vive per incorporare nella tazzina quanto più zucchero possibile. Per i poveracci come Bonocore, Lo Turco e il pittore occasionale Cardone (un grande Giacomo Furia) c’è solo un modo per riscattarsi dai vari ragionier Casoria per non lasciarsi da costoro permanentemente sopraffare: adeguarsi, rinunciare all’onestà, trasgredire la legge stampando, questo è il piano, banconote false e spacciarle per vere.
I tre non avranno mai, come è noto, il coraggio di spendere anche un solo biglietto e quando decideranno di mettere fine alla loro avventura di falsari lo faranno intorno ad un tavolo con una caffettiera napoletana al centro: la cuccumella funge da catalizzatore dei pensieri onesti dei protagonisti e ispira la loro saggia e dolorosa decisione: Antonio deve costituirsi alla giustizia (e precisamente nelle mani del figlio finanziere) per potere salvare i suoi amici. Fortunatamente, come tutte le commedie, anche questa ha il lieto fine: in galera non finirà Antonio, ma, colpo di scena, l’odiato ragionier Casoria, ché, anch’egli contraffattore di banconote, a differenza dei tre onesti, non si era fatto scrupolo di spacciare i suoi falsi.
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