Le dieci regole del caffè napoletano
Articolo scritto da Michele Sergio e pubblicato su L’Espresso napoletano del mese di settembre 2019
“Come mai il caffè a Napoli è più buono?” Capita spesso di sentire questa frase; magari pronunciata da un amico, un parente od anche un semplice conoscente del nord Italia. Quale risposta? Non ve ne è una, una sola: chi dice sia l’acqua a rendere inimitabile il Nostro caffè, chi sostiene sia la miscela, chi, ancora, è convinto che tutto ruoti attorno alla figura del barista.
Abbiamo provato, allora, a codificare almeno 10 regole che spiegano il perché del successo della tazzullela ‘e cafè secondo il nostro personale count-down.
10) Colore. L’impatto visivo è fondamentale. Il caffè deve essere “a manto di monaco” come diceva Sophia Loren nel film Questi fantasmi del 1967, tratto dall’omonima opera teatrale del grande Eduardo De Filippo; marrone cioè, di quel marrone del saio dei monaci francescani.
9) Bicchiere d’acqua. Nell’attesa del caffè è obbligatorio bere un bicchiere d’acqua fresca. Dissetarsi? Rito? Entrambe le cose ma non solo: “pulire” la bocca è fondamentale prima d’assaporare al meglio l’espresso.
8) Tazza calda. Calda la tazza, come il caffè appena estratto. Solo così la bevanda non subisce uno shock termico che potrebbe alterarne aroma e gusto.
7) 25 secondi. Questo il tempo per suggere dalla macchina la meraviglia nera che ne deve fuoriuscire “a coda ‘e zoccola” (per dirla alla maniera dei baristi napoletani), scia liquida man mano più sottile, dal rubinetto alla tazzina.
6) Miscela. La Nostra, quella della tradizione napoletana, è composta da due specie di chicchi diversi: l’arabica e la robusta. L’arabica, più dolce e fruttata; la robusta più forte e corposa. E’ il loro giusto equilibrio che rende quello napoletano il caffè più apprezzato. Senza dimenticare la tostatura che deve essere più scura, più prolungata.
5) Tempo atmosferico. Il clima mite napoletano favorisce il punto di macinatura giusto, quello che il bravo barista individua come il più adatto per macinare i chicchi e trasformali in polvere, né molto fine né grossa, per ottenere, così, l’espresso napoletano.
4) Rito. Per i napoletani bere un caffè costituisce vero e proprio rito, attimo da auto-dedicarsi, pretesto per condividere, momento per chiacchierare, scambiare confidenze, ridere insieme. Bere il caffè da soli “è il massimo della solitudine” come affermava Massimo Troisi nel suo secondo film “Scusate il ritardo”.
3) Caffè sospeso. È un gesto di generosità pagare un caffè altri sconosciuti, esempio minimo di solidarietà napoletana, quello di regalare un sorriso ad una persona meno fortunata. Luciano De Crescenzo, ultimo tra i grandi figli di Napoli scomparso, ha felicemente colto lo spirito del caffè sospeso: “quando un napoletano è felice per qualche ragione decide di offrire un caffè ad uno sconosciuto perché è come se offrisse un caffè al resto del mondo”. Sagacia dell’inimitabile filosofo partenopeo.
2) Acqua. Che non s’abbiano dubbi di sorta: l’acqua napoletana, per le sue ottime e peculiari caratteristiche chimico-fisiche, è determinante per la qualità ed il sapore del Nostro caffè
1) Amore. Già, quelle cinque lettere che individuano il sentimento più forte che, se non ispira la preparazione del caffè, pur a volere seguire ogni regola, codificata o meno, lo renderà “una ciofeca” come diceva Totò: a casa o alla macchina del bar. Chi prepara il caffè deve “metterci dentro” l’amore. Per il magico infuso, le persone che lo berranno, la condivisione della tazzina e … il proprio palato.
I commenti sono chiusi.